NOTE PER LA DETERMINAZIONE DI UNA IMPOSIZIONE FISCALE PIGOVIANA SULLA BENZINA
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L’imposizione fiscale efficiente sulla benzina in un mondo di second best

 

 

Luciano Messori[1]

luciano.messori@ordingbo.it

 

 

 

 

 

Modena, gennaio 2002

 

 

 

 

 

 

 


An Efficient Gasoline Tax in a Second-Best World

 

The body of literature that originates with the Bovenberg and the Mooij (1994) model has the purpose of determining the relationship that exists between the optimal pollution tax and the Pigovian tax in the presence of pre-existing distortionary taxes.  The aim of this paper is to quantify the efficient level of a gasoline tax in Italy.  To reach this goal, the version of the Bovenberg and the Mooij model contained in Metcalf (2000) will be employed.  For the sake of clarity, the exposition has been divided into three sections. Section one contains a literature review.  Section two contains an estimation of the external costs arising from the production and use of gasoline in Italy.  Section three quantifies the efficient level of a tax on gasoline in Italy using the prior findings and results contained in sections 1 and 2.

 

Abstract

Il filone di letteratura che ha avuto origine dall’ormai celebre modello di Bovenberg e de Mooij (1994) ha l’obiettivo di determinare la relazione esistente tra il costo marginale esterno di un bene e il livello efficiente di tassazione dello stesso in un mondo nel quale la allocazione delle risorse è distorta rispetto a quella efficiente dalla presenza di altre forme di imposizione fiscale.

Il presente lavoro si inserisce in questo filone proponendosi di fornire una stima quantitativa del livello efficiente di imposizione fiscale sulla benzina in Italia utilizzando la versione del modello di Bovenberg e de Mooij contenuta in Metcalf (2000).


Introduzione

In Italia, l’imposizione fiscale rappresenta una elevata percentuale del prezzo alla pompa dei carburanti (circa il 64 per cento per la benzina senza piombo, circa il 61 per cento per il gasolio e circa il 43 per cento per il GPL) ed una importante fonte di entrate per le finanze pubbliche.[2] 

La esistenza di un tale livello di imposizione fiscale fa sorgere spontaneamente la domanda se siamo di fronte ad aliquote che in qualche modo si avvicinano a quella efficiente, pur essendosi generalmente formate come semplice strumento per generare entrate fiscali[3], o se non siamo piuttosto di fronte ad un gruppo di prodotti tassati in modo abnorme in quanto facile fonte di entrate per lo stato.

Scopo di questo lavoro è quello di tentare di dare una prima risposta a questa domanda stimando il livello di imposizione fiscale efficiente sulla benzina in Italia.

Per raggiungere questo risultato si è scelto di articolare l’esposizione in tre sezioni. La prima di queste presenta lo stato dell’arte di quel filone di letteratura sulla tassazione ambientale efficiente in un mondo nel quale siano presenti altre forme di tassazione che generino una distorsione nella allocazione delle risorse che ha preso avvio dall’ormai celebre modello di Bovenberg e de Mooij (1994).

La seconda sezione contiene una dettagliata stima dei costi esterni generati dalla produzione e dall’utilizzo della benzina nel nostro paese.

La terza e ultima sezione conterrà infine la quantificazione del livello di imposizione fiscale efficiente sulla benzina in Italia ottenuta inserendo il valore dei parametri determinati nella seconda sezione nella formulazione di Metcalf (2000) del modello di Bovenberg e de Mooij.

1. La tassazione ambientale efficiente in un mondo di second best

La letteratura sul livello efficiente di tassazione ambientale in un contesto nel quale sono presenti altre forme di distorsione causate dall’imposizione fiscale ha preso le mosse dal dibattito sul doppio dividendo emerso con grande forza all’inizio degli anni ’90.  Secondo la formulazione di Pearce (1991), il doppio dividendo ha origine in uno scenario nel quale inizialmente l’imposizione fiscale è elevata e causa forti distorsioni nell’allocazione delle risorse.  In questo scenario il governo può ridurre le distorsioni generate dall’imposizione fiscale senza essere costretto a ridurre allo stesso tempo la spesa pubblica, introducendo una tassa su un input che causa danni all’ambiente e la cui domanda è molto anelastica (ad esempio un combustibile carbonioso).  I proventi di questa tassa possono quindi sostituire parte di quelli derivanti dalle imposte che causano le maggiori distorsioni.

Il doppio dividendo consisterà nel fatto che da una parte la nuova imposta andrà nel senso di migliorare la qualità ambientale, internalizzando una esternalità, mentre dall’altra genererà un importante gettito fiscale con bassi effetti distorsivi, che permetterà di ridurre il peso delle imposte che generano le maggiori distorsioni.

A partire dalla metà degli anni ’90 il doppio dividendo è stato fatto segno di numerosi attacchi da parte di autorevoli economisti. Bovenberg e de Mooij (1994) sostengono che le tasse ambientali tipicamente esasperano, invece di alleviare, le distorsioni di origine fiscale preesistenti, anche se i loro proventi sono usati per ridurre quelle tasse che causano le maggiori distorsioni.  Con un famoso modello, successivamente ripreso e sviluppato da vari autori, essi dimostrano poi che, in presenza di un’imposizione fiscale distorsiva preesistente, la tassazione ambientale efficiente tipicamente è inferiore ad un’imposizione fiscale pigouviana che internalizzi completamente il danno sociale derivante dall’inquinamento.

Inserendosi in questo dibattito Parry (1998) afferma che un processo di spostamento della pressione fiscale dal mercato del lavoro verso un’imposizione fiscale pigouviana su un bene il cui uso induca delle esternalità negative causa due effetti distinti sul mercato del lavoro.  In primo luogo, il benessere collettivo aumenta per la riduzione della tassazione del lavoro.  Questa riduzione causa un aumento dell’offerta di lavoro e una riduzione della perdita secca causata dall’imposizione fiscale su di esso.  Parry chiama questo effetto “effetto del riciclaggio fiscale”.  D’altra parte, la imposizione pigouviana contribuirà ad aumentare i costi di produzione delle imprese e questo aggravio di costi sarà almeno in parte trasferito ai consumatori sotto forma di aumento dei prezzi al consumo.  Questo aumento dei prezzi al consumo ridurrà i salari reali portando ad una riduzione nell’offerta di lavoro e ad una conseguente perdita di benessere sociale.  Parry chiama questo effetto “interazione fiscale” e conclude che il dibattito sul doppio dividendo precedente la pubblicazione del modello di Bovenberg e de Mooij (1994) ha semplicemente ignorato l’effetto della interazione fiscale.

Circa l’entità dei due effetti identificati da Parry (1998), Paul Krugman (2000) afferma che “tutto sommato è più probabile che le tasse sull’inquinamento riducano il PIL, invece di aumentarlo”.[4]

La versione del modello di Bovenberg e de Mooij contenuta in Metcalf (2000) utilizzata in questa sede per la stima del livello di imposizione fiscale efficiente della benzina in Italia considera un’economia nella quale esistono N lavoratori, ognuno dei quali ha a disposizione una unità di tempo che allocherà per la parte L al lavoro e per la parte V allo svago.  Il vincolo temporale di questi lavoratori avrà quindi la forma L+V=1.  In questa economia, il lavoro è usato per produrre solo tre beni: un bene “pulito” C il cui consumo non ha effetti negativi sull’ambiente, un bene “sporco” D il cui consumo causa un’esternalità negativa e servizi pubblici G che saranno sporchi per la frazione c e puliti per la restante parte (1-c).  La produzione è descritta da una tecnologia lineare:

hNL = NC + ND + G                                                            (1)

dove h rappresenta la produttività. L’utilità sarà funzione dei beni prodotti, dei servizi pubblici, dello svago V e della qualità dell’ambiente E:

U= u(C, D, V, G, E)                                                               (2)

dove E=e (ND, cG) con eI < 0.

Il vincolo di bilancio dei consumatori sarà:

hL=(1+tc)C+(1+td)D                                                              (3)

dove tc rappresenta l’aliquota fiscale cui è soggetto il bene C e td quella cui è soggetto il bene D.

Il costo marginale sociale dell’inquinamento in termini monetari t sarà dato dal rapporto tra il danno marginale e l’utilità marginale del reddito l:

t =∂U/∂E · eI · N/l                                                                 (4)

risolvendo, analogamente a Fullerton (1997), per il problema di second best del governo, che è quello di massimizzare l'utilità selezionando gli appropriati valori di td e tc, considerando il caso in cui dG=0, differenziando la funzione di utilità, usando il fatto che dV=-dL e ponendo dU=0 si otterrà:

0=-(∂u/∂V) dL + (∂u/∂C) dC + (∂u/∂D) dD + (∂u/∂E) eI NdD           (5)

da cui, utilizzando le condizioni del primo ordine per i consumatori, la definizione di t e l’equazione (1) in forma differenziale si avrà:

td- t=-tc dC/dD                                                                                  (6)

La soluzione in forma chiusa di (6), ottenuta da Metcalf (2000) con considerazioni di equilibrio generale, è:

td = tc+ (1-e tc) t                                                                                 (7)

dove e rappresenta l’elasticità non compensata dell’offerta di lavoro rispetto al salario.

La prossima sezione sarà dedicata alla stima del costo marginale sociale dell’inquinamento causato dalla benzina in Italia, in maniera tale da rendere possibile la determinazione del valore efficiente di td.

2. I costi esterni del traffico

Come è noto, in assenza della necessità di aumentare le entrate fiscali, se il governo può usare tasse dello stesso ammontare per tutti (lump-sum tax), Pigou[5] mostra che l’imposizione fiscale efficiente sull’inquinamento è uguale al danno ambientale marginale (imposta pigouviana). In questo modo i consumatori pagano il costo marginale sociale di ogni unità consumata, pari al costo diretto delle risorse più il costo dell’inquinamento. Lo stesso Pigou era cosciente della straordinaria difficoltà pratica che si incontra nel quantificare la stragrande maggioranza dei danni ambientali, e quindi della scarsa o nulla applicabilità pratica di una imposizione fiscale del tipo descritto.[6] 

Questa parte del lavoro affronta la difficoltà pratica di cui si lamenta Pigou, in quanto si propone di stimare l’ammontare dei costi esterni generati dalla produzione e dall’utilizzo della benzina in Italia, e quindi l’entità della relativa imposta pigouviana.  Anche in questo caso, come in tutti gli altri lavori di questo tipo a nostra conoscenza pubblicati, verranno presi in considerazione solo un numero limitato di effetti della produzione e dell’utilizzo di benzina, quindi i risultati ottenuti dovranno essere considerati come limiti inferiori di questi costi esterni.

Il tema dei costi esterni è stato uno dei punti centrali del dibattito sulla politica dei trasporti in sede comunitaria già da prima della pubblicazione, da parte della Commissione, del Libro Verde dal titolo: "Towards fair and efficient pricing in transport – policy options for internalizing the external costs of transport in the European Union”, avvenuta nel 1995 allo scopo di incoraggiare il dibattito su come la leva del prezzo poteva contribuire a risolvere i principali problemi del trasporto nell’Unione Europea.  Il Libro Verde pone l’accento sul fatto che la stessa Commissione deve adoperarsi nel misurare i costi esterni del trasporto, definire metodi per esprimere questi costi in termini monetari e proporre modi per allocarli equamente.  Questo incoraggerebbe utenti e aziende a modificare i propri comportamenti attenuando così gli effetti negativi dei trasporti e aumentando in questo modo la competitività dell’economia europea nel suo complesso.

Il successivo Libro Bianco: ”Fair payment for infrastructure use: a phased approach to a commun transport infrastructure charging framework in the European Union“ pubblicato dalla Commissione nel 1997 contiene tra l’altro il principio che gli utenti di tutte le reti di trasporto debbano pagare il costo sociale marginale da loro generato.  Il rapporto finale dell’High Level Group on Transport Infrastructure Charging (1999), pur raccomandando il rispetto in linea generale il principio di fare pagare agli utenti delle reti di trasporto il costo sociale marginale da loro generato, riconosce che quando questo è inferiore al costo sociale medio può tuttavia essere necessario fare pagare agli utenti una cifra maggiore.

La centralità dell’internalizzazione dei costi esterni nella politica europea dei trasporti come strumento per aumentare l’efficienza del sistema dei trasporti e quindi la competitività dell’economia europea è ribadita dal recente Libro Bianco "European transport policy for 2010: time to decide" pubblicato nel 2001, secondo il quale i proventi da questa derivati dovranno essere reinvestiti nel miglioramento dell’infrastrutturazione dell’Unione Europea.

I costi esterni generati dal traffico stradale sono molteplici. Essi comprendono, infatti, i costi legati alla produzione di carburante, quelli generati dalle emissioni gassose dei veicoli, quelli legati al rumore, quelli relativi alla congestione e quelli generati dagli incidenti stradali.

I costi esterni generati dalla produzione di carburante comprendono gli effetti sull’ambiente dell’estrazione del greggio, del suo trasporto alle raffinerie, della costruzione delle raffinerie stesse, della raffinazione, della distribuzione del carburante e dell’operare delle stazioni di servizio.

Gli effetti delle emissioni gassose degli autoveicoli, e quindi i relativi costi esterni, possono essere suddivisi in due categorie, definibili rispettivamente come effetti "globali" ed effetti "locali".  Gli effetti "globali" delle emissioni sono quelli riferibili all'acuirsi dei fenomeni di riscaldamento della terra attualmente in atto (il cosi detto "effetto serra").  Dato il carattere globale di questo fenomeno, ai fini della valutazione degli effetti su di esso delle emissioni gassose delle autovetture la posizione dell’autovettura-sorgente delle stesse non ha alcuna importanza.  Questa valutazione può quindi essere compiuta richiamando le stime dell'ammontare del danno causato dalla immissione nell'atmosfera di una quantità unitaria delle sostanze che giocano un ruolo in questo fenomeno rinvenibili in letteratura.

Gli effetti "locali" delle emissioni sono invece quelli avvertiti nell'area intorno al punto di origine delle emissioni stesse.  Si tratta in particolare della mortalità, delle malattie non letali indotte dall’inquinamento atmosferico, della sporcizia e della riduzione nella visibilità causate dalle emissioni gassose degli autoveicoli nell’area in cui sono prodotte.  La stima dei costi esterni generati da questi effetti si presenta più difficile rispetto a quella dei costi esterni generati dagli effetti "globali" delle emissioni, in quanto a differenza di questi ultimi essi dipendono da una lunga serie di parametri riferiti all'area nella quale sono prodotte le emissioni (densità di popolazione, condizioni climatiche ecc.); sono cioè sito-specifici.  Una misurazione accurata di questi costi esterni richiederebbe quindi che venissero presi in considerazione la totalità dei percorsi effettivamente esistenti nel nostro paese ed i flussi di traffico che utilizzano ognuno di questi percorsi, operazione chiaramente impossibile.

A fronte di questa impossibilità, una stima dei costi esterni generati dagli effetti "locali" delle emissioni gassose degli autoveicoli deve necessariamente basarsi sulla generalizzazione dei dati, relativi ad alcuni percorsi, attualmente disponibili.  Per un’operazione di questo tipo è utile fare riferimento al progetto ExternE-Transport[7], che comprende tra l'altro una serie di casi studio, realizzati su percorsi che coprono in modo piuttosto esaustivo lo spettro dei principali ambiti nei quali avviene la mobilità urbana (aree metropolitane, città di medie e piccole dimensioni, ambiti extraurbani), contenenti delle stime dei costi esterni generati da una vasta gamma di mezzi di trasporto su questi percorsi, ottenute utilizzando la metodologia dei sentieri di impatto.[8]

La metodologia dei sentieri di impatto si basa sull’utilizzo di funzioni dose-risposta, che mettono in relazione le quantità di inquinanti assorbite dai ricettori con gli effetti provocati, e si sviluppa in varie fasi.  In sintesi, partendo dalla quantificazione delle emissioni gassose degli autoveicoli, la prima fase consiste nella valutazione della dispersione di queste emissioni sul territorio.  I risultati di questa valutazione, unitamente ad una lunga serie di fattori diversi (ad esempio le condizioni climatiche dell’area attraverso la quale si sviluppa il percorso, il numero di persone che vi abitano, e così via) rappresentano poi gli argomenti delle funzioni di dose-risposta che consentono di arrivare ad una valutazione degli effetti locali delle emissioni in termini fisici.  A queste stime degli effetti in termini fisici vengono infine attribuiti valori economici in termini di disponibilità a pagare dei consumatori per evitare determinati impatti.

Per quanto riguarda gli effetti delle emissioni sulla salute umana, le funzioni dose-risposta considerate da ExternE-Transport hanno riguardato: mortalità acuta, ricoveri ospedalieri per problemi respiratori, cerebrovascolari e cardiovascolari, visite al pronto soccorso, giorni di attività ridotta a causa dell'inquinamento atmosferico, effetti acuti sugli asmatici, sintomi respiratori nella popolazione in genere, mortalità e malattie croniche.[9]

Per quanto riguarda gli effetti delle emissioni sull'ambiente, è stato considerato il degrado dei materiali dovuto al deposito di anidride solforosa ed alle piogge acide su zinco, acciaio, arenaria, rocce calcaree, cemento, pietra e pittura.  Per valutare l'effetto dovuto alla sporcizia degli edifici generata dal particolato è stato adottato un approccio che correla i costi di pulizia degli edifici con l'incremento della concentrazione di particolato.  Per quanto riguarda gli effetti delle emissioni sui raccolti, sono stati presi in considerazione quelli causati dalla anidride solforosa sui raccolti di patate, grano, barbabietole da zucchero, orzo, luppolo e segale.

I risultati ottenuti evidenziano come gli effetti delle emissioni gassose degli autoveicoli sull'ambiente sono molto minori rispetto a quelli sulla salute umana.  In particolare è risultata significativa la mortalità dovuta al particolato primario (PM2,5) e a quello secondario (nitrati, solfati).  Abbastanza sorprendentemente i cancerogeni sono risultati essere di importanza molto minore rispetto ai particolati.  L’omissione principale di queste analisi è quella che esse non prendono in considerazione gli effetti acuti dovuti ai picchi di concentrazione del monossido di carbonio CO.  E’ comunque necessario tenere presente che la valutazione degli effetti delle emissioni gassose sull'ambiente condotta è largamente incompleta, in modo particolare per quello che riguarda gli effetti sugli ecosistemi.

A proposito della sito-specificità delle stime dei costi esterni generati dagli effetti locali delle emissioni gassose, è necessario distinguere tra autovetture a benzina ed autovetture a gasolio.  Come rilevato dallo stesso rapporto finale di ExternE-Transport, il costo esterno generato dai veicoli alimentati a gasolio è dovuto principalmente alla emissione del materiale particolato più fine PM2,5 (minore di 2,5 micron).  Detto materiale tende a rimanere vicino al luogo dove è stato prodotto, e quindi a fare sentire i suoi effetti dannosi su un'area limitata.  Di conseguenza, il parametro chiave per la quantificazione dei costi esterni generati dalle emissioni dei veicoli a gasolio sarà la densità della popolazione residente nell'area attraversata dal loro percorso.  Per questa ragione, le stime di questi costi esterni sono altamente sito-specifiche e quindi sicuramente non esportabili in contesti diversi a quelli nei quali sono state ottenute.

La sito-specificità delle stime dei costi esterni generati dalle emissioni dei veicoli alimentati a benzina (addizionata o meno col piombo) è invece minore, in quanto questo tipo di veicoli emette una quantità molto minore di materiale particolato rispetto ai veicoli diesel, mentre il contributo maggiore alla formazione dei costi esterni da essi generati è dato dalle altre sostanze emesse, sostanze per le quali gli effetti regionali prevalgono su quelli locali.  Questa minore sito-specificità dei costi esterni generati dagli effetti locali delle emissioni delle autovetture alimentate a benzina rispetto a quelli delle autovetture diesel rende un’estrapolazione dei primi a contesti diversi da quelli nei quali sono stati ottenuti non improponibile, come sarebbe invece un’analoga operazione tentata sui secondi.  Per questa ragione le stime dei costi esterni generati dagli effetti locali delle emissioni dei veicoli alimentati a benzina (con e senza piombo) contenute in questo studio sono basate su un’estensione delle stime contenute nel progetto ExternE, realizzata secondo i criteri di cui si dirà in seguito, mentre si è scelto di limitare a poche considerazioni l’esame del caso dei veicoli alimentati a gasolio.

I dati disponibili riguardanti i costi esterni generati dal rumore sono pochi e incerti.  Si è quindi deciso di non prenderli in considerazione in questa sede.

Sull’inclusione dei costi generati dalla congestione tra i costi esterni del traffico stradale non c’è un consenso generalizzato tra gli economisti.  Un’importante corrente di pensiero, capeggiata da Rothengatter, sostiene, infatti, che la congestione sia un’esternalità “di club”, in quanto danneggia solo i soggetti che contribuiscono a generarla, e che quindi gli automobilisti ne pagano già il costo in termini di tempo perso e maggiori costi di viaggio.[10]  La decisione, presa in questa sede, di considerare i costi della congestione tra i costi esterni generati dal traffico stradale è dovuta al fatto che essa, oltre a diminuire il benessere degli automobilisti come gruppo, comunque genera una serie di esternalità verso altri utenti della strada (mezzi pubblici, pedoni), e inoltre aggrava il problema dell’inquinamento atmosferico facendo scattare delle soglie di danno particolarmente elevate.  Inoltre, si tratta di una decisione coerente con l’approccio seguito in materia dalla Commissione Europea fin dalla pubblicazione del Libro Verde del 1995.

È però necessario osservare che i costi della congestione non sono generati indistintamente da tutti gli autoveicoli circolanti, ma soltanto da quelli che utilizzano determinati percorsi in determinati momenti.  Per internalizzare questi costi un’imposizione fiscale indiscriminata sui carburanti non è quindi lo strumento adatto, in quanto questa colpisce indistintamente tutti gli automobilisti, indipendentemente dal fatto che con i loro comportamenti contribuiscano o no alla congestione stradale.

L’obiettivo di internalizzare questi costi esterni potrebbe essere raggiunto introducendo lungo i percorsi soggetti a periodi di congestione sistemi di road pricing in grado di disincentivare il loro utilizzo durante questi periodi.  Ciò è tecnicamente possibile.  Un sistema di road pricing è stato sperimentato con successo a Singapore, che ha in questo modo avviato a soluzione i problemi di traffico dai quali era afflitta[11].

Ovviamente un’impostazione di questo tipo porterebbe con se sia la necessità di affrontare i costi di impianto del sistema di road pricing che potrebbero rivelarsi ancora notevoli (anche se in via di ridimensionamento a causa del rapido progresso di questo tipo di tecnologie), sia una serie di problemi pratici di difficile soluzione.[12]  Per ovviare a queste difficoltà, il rapporto finale dell’High Level Group on Transport Infrastructure Charging (1999) raccomanda come soluzione di second best una soluzione basata su un uso estensivo del park pricing, con tariffe differenziate per luogo e ora del giorno, e l’uso di sistemi di pedaggio per l’accesso ai centri cittadini. Un esempio di questi ultimi, costituito semplicemente da diciannove stazioni per il pagamento del pedaggio per i veicoli che entrano in città, funziona poi dal 1989 a Oslo.  L’adozione di questo semplice sistema è stata resa praticamente fattibile dal fatto che Oslo è una città circondata dai fiordi, e quindi diciannove stazioni sono sufficienti per filtrare l’accesso in città.

La stragrande maggioranza degli incidenti stradali è causata da comportamenti imprudenti da parte dei guidatori.  Per questa ragione, l’imposizione fiscale sulla benzina non è lo strumento adatto per internalizzare i costi esterni da essi generati, in quanto essa colpisce indiscriminatamente tutti i conducenti e non solo quelli che tengono comportamenti pericolosi.  Risulta invece essere adatto allo scopo il meccanismo bonus-malus delle assicurazioni.

2.1 Effetti globali delle emissioni gassose

Come detto, le emissioni di gas di scarico delle autovetture influiscono, a livello globale sui mutamenti climatici del pianeta, nel senso che favoriscono il riscaldamento globale ("effetto serra") sia direttamente sia indirettamente, come nel caso degli ossidi di azoto e dei composti organici volatili che concorrono alla creazione di ozono troposferico per mezzo di reazioni chimiche che avvengono nell’atmosfera dopo la loro emissione.  L'acuirsi di questi fenomeni provoca danni sia alla salute umana sia alle coltivazioni.  Esistono in letteratura stime riguardanti l'ammontare del danno causato dalla immissione nella atmosfera di sostanze che hanno un ruolo in questo senso.

La tabella 1 riporta alcune di queste stime, espresse in lire del 1998.  Le colonne che portano l'indicazione Intergovernamental Panel on Climat Control IPCC min e IPCC max contengono rispettivamente i limiti minimo e massimo degli intervalli di variazione riportati nel rapporto finale della ricerca Trasporti e ambiente nell'Unione Europea,[13] basati a loro volta sulle stime delle stesse grandezze effettuate dall'IPCC.  L'intervallo di variazione proposto dall'IPCC non rappresenta un vero intervallo di confidenza, ma deriva da un esame ragionato dei risultati di vari studi, ed è quindi da considerarsi puramente indicativo, come del resto sono da considerarsi tutti i valori proposti in questa sede.  Le successive colonne riportano i risultati delle simulazioni eseguite nell'ambito del progetto ExternE secondo i modelli FUND e Open Framework e riportate nel secondo rapporto dell’associazione degli Amici della Terra su I costi ambientali e sociali della mobilità in Italia.[14]  E' possibile notare un certo livello di corrispondenza tra i diversi valori di danno contenuti nella tabella 1.  Prima di considerare questa corrispondenza come un segnale della attendibilità dei risultati ottenuti occorre tuttavia una certa cautela, in quanto almeno in qualche caso è la similitudine delle ipotesi fatte che conduce a risultati analoghi, e dette ipotesi non sono necessariamente corrette.  Corre poi l'obbligo di ricordare che queste stime non comprendono gli effetti di eventi di ordine superiore o catastrofici.

Tabella 1 - Valori unitari per riscaldamento globale e danni all'ozono

(Lire/tonnellata emessa)

Metodo di stima

IPCC

min

IPCC

max

FUND

Open Framework

Riscaldamento globale

 

 

 

 

CO2

37.083

94.769

144.202

136.412

N2O

 

 

52.337.416

81.919.478

Ozono

 

 

 

 

NOx

3.077.926

 

 

 

COV

276.066

 

 

 

Fonti: Amici della Terra, (1999) Parlamento Europeo (1999)

In generale, tutte le stime riportate sopra comprendono i danni causati dagli effetti globali alla salute umana, alle coltivazioni, alla risorsa idrica, e quelli causati dall'aumentare del livello dei mari.  Non sono invece presi in considerazione i danni ai monumenti storici, che nel nostro paese sono probabilmente di rilevanza non trascurabile.

L’incertezza associata a queste stime dipende in primo luogo dalla incertezza associata all'evoluzione degli stessi fenomeni in questione.  Per quello che riguarda l'effetto serra, non sono noti né la sensitività del clima alle variazioni della concentrazione dei così detti gas di serra né le capacità di adattamento dell'ecosistema al mutare delle condizioni climatiche.  Oltretutto, risulta praticamente impossibile prevedere il comportamento che l'uomo terrà per adattarsi alle mutate condizioni ambientali.  Ad esempio, la creazione di opere di difesa dei litorali potrebbe ridurre i danni causati dall'aumento di livello dei mari, ma al momento attuale non è possibile prevedere con un minimo di attendibilità l'entità e la scansione temporale degli investimenti che saranno destinati a questo scopo.

Per quello che riguarda le conseguenze del riscaldamento globale sulle coltivazioni, le principali fonti di incertezza sono relative alla velocità dell'innovazione tecnologica in agricoltura, ed alle interrelazioni esistenti tra agricoltura, economie regionali, ecosistemi e salute umana.

Non esistono, a nostra conoscenza, fonti attendibili alle quali fare riferimento per la quantificazione dei possibili danni da monossido di carbonio (CO), che pure appaiono sostanziali.  Per questa ragione essi non saranno presi in considerazione in questa sede.

Per poter stimare il danno causato dal contributo all'acuirsi degli effetti globali dato dalle emissioni gassose degli autoveicoli è necessario disporre, oltre che dei valori unitari di danno per i diversi tipi di sostanza emessa, anche dei fattori di emissione unitari caratteristici dei diversi tipi di autoveicoli.  A questo proposito si è fatto riferimento, per quanto possibile, ai fattori di emissione medi contenuti nel già citato studio Trasporti e Ambiente nell'Unione Europea.[15]

I fattori di emissione unitari di cui sopra sono riportati nella tabella 2.  Si tratta di fattori medi che, in quanto tali, tengono implicitamente in considerazione tutti i parametri dai quali dipende la composizione dei gas di scarico di un’autovettura (tra i quali è molto importante la regolazione del motore).  I tipi di autovetture considerati in questa tabella sono: un’autovettura priva di marmitta catalitica costruita nel 1988, un’autovettura catalizzata rispondente allo standard Euro I (nel seguito indicata come catalizzata 1996) e una rispondente allo standard EURO II (nel seguito indicata come catalizzata 2000).[16]

Tabella 2 - Fattori di emissione degli autoveicoli alimentati a benzina[17] (g/km)

Autovettura

PM2.5

NOx

CO

HC

SO2

CO2

COV*

Non catalizzata (1988)

0,04

1,53

20,20

2,50

0,01

252,00

2,22

Catalizzata (1996)

0,01

0,26

3,66

0,89

 

248,00

0,33

Catalizzata (2000)

0,01

0,17

1,92

0,46

 

235,00

0,13

* Fonte: stima dell’autore su dati ExternE

 

Per quanto riguarda il consumo specifico di carburante, si è utilizzato il valore fornito dalla European Automobile Manufacturers Association (ACEA), secondo la quale il consumo medio della flotta europea delle autovetture nel 1995 era pari a 7,1 litri per 100 km, corrispondenti a 14,08 km/litro[18].

Moltiplicando quindi i fattori di emissione riportati dalla tabella 2 per quest’ultimo valore si sono ottenute le emissioni medie degli autoveicoli a benzina per litro di carburante utilizzato.  Queste emissioni sono riportate nella tabella 3.

 

Tabella 3 - Emissioni medie per litro di carburante utilizzato degli autoveicoli a benzina (g)

Autovettura

PM2.5

NOx

CO

HC

SO2

CO2

COV

Non catalizzata (1988)

0,56

21,54

284,42

35,20

0,14

3.548,16

31,23

Catalizzata (1996)

0,18

3,66

51,53

12,53

0,00

3.491,84

4,72

Catalizzata (2000)

0,10

2,39

27,03

6,48

0,00

3.308,80

1,76

Fonte: Parlamento Europeo (1999)

 

A questo punto è stato possibile quantificare il costo esterno medio generato da un’autovettura per litro di carburante utilizzato relativo agli effetti globali, moltiplicando le quantità delle sostanze di interesse contenute nella tabella 3 per i valori unitari di danno per ciascuna sostanza contenuti nella tabella 1.  Per quello che riguarda l’anidride carbonica CO2, i risultati di questa operazione sono contenuti nella tabella seguente:

 

Tabella 4 - Ammontare del costo esterno medio per litro di carburante generato dalle emissioni di CO2 di un’autovettura (lire)

Metodo di stima

IPCC

min

IPCC

max

FUND

Open Framework

Non catalizzata (1988)

132

336

512

484

Catalizzata (1996)

129

331

504

476

Catalizzata (2000)

123

314

477

451

 

Un’analoga stima riferita ai veicoli alimentati a gasolio porterebbe a risultati sostanzialmente analoghi, in quanto l’emissione specifica di CO2 dei motori diesel è mediamente di pochissimo superiore a quella dei motori a benzina.[19]

La stima del costo esterno medio relativo agli effetti globali provocati dalle emissioni di protossido di azoto N2O si basa sui fattori di emissione contenuti in Mattucci ed al. (1998), che sono pari a 0,005 g/km per autovetture non catalizzate e 0,05 g/km per autovetture catalizzate.  Per quanto riguarda questo specifico inquinante, le autovetture catalizzate presentano quindi un fattore di emissione 10 volte maggiore rispetto alle autovetture non catalizzate.

Partendo da questi fattori di emissione si ottiene un’emissione media per litro di carburante utilizzato pari a 0,704 grammi per autovetture catalizzate e 0,0704 grammi per autovetture non catalizzate.  Moltiplicando questi valori per le stime di costo unitario contenute nella tabella 1 si sono ottenuti valori di stima dell'ammontare del costo esterno per litro di carburante utilizzato generato dalla immissione in atmosfera di N2O.  Detti valori sono riportati nella successiva tabella 5.

 

Tabella 5 - Ammontare del costo esterno medio per litro di carburante utilizzato generato dalle emissioni di N2O di un’autovettura (Lire)

Metodo di stima

FUND

Open Framework

Non catalizzata

4

6

Catalizzata

37

58

 

Passando alle sostanze che contribuiscono alla formazione dell’ozono (i cosi detti precursori), l'ammontare del costo esterno medio per litro di carburante utilizzato generato dalle emissioni di ossidi di azoto NOX di un’autovettura, ottenuto anche in questo caso moltiplicando le quantità riportate nella tabella 3 per i corrispondenti valori dei costi esterni unitari riportati nella tabella 1, è contenuto nella tabella 6.

 

Tabella 6 - Ammontare del costo esterno medio per litro di carburante utilizzato generato dalle emissioni di NOx di un’autovettura

Autovettura

Lire

Non catalizzata (1988)

66

Catalizzata (1996)

11

Catalizzata (2000)

7

 

Le emissioni medie di NOX delle autovetture diesel sono stimabili in 12 grammi per litro di carburante consumato per quelle immatricolate fino al 1994, 8 grammi per quelle immatricolate tra il 1994 e il 1996 e 3.5 grammi per quelle immatricolate a partire dal 1997.[20]  In base ai valori unitari riportati nella tabella 1, i costi esterni generati da queste emissioni sono stimabili in 37 lire per le autovetture immatricolate prima del 1994, 25 lire per quelle immatricolate tra il 1994 e il 1996 e 10 lire per quelle immatricolate a partire dal 1997.  Per i veicoli commerciali pesanti (autocarri con peso complessivo maggiore di 3.5 ton, autobus urbani e pullman) le emissioni di NOX sono stimabili in 36 grammi per litro di carburante consumato per quelli immatricolati fino al 1993, 24 per quelli immatricolati tra il 1193 e il 1996 e 18 per quelli immatricolati dal 1997.[21]  Sempre in base ai valori unitari riportati nella tabella 1, i costi esterni generati da queste emissioni sono stimabili rispettivamente in 112, 75 e 56 lire al litro.

Un altro gruppo di sostanze emesse dalle autovetture alimentate a benzina che contribuisce alla formazione dell’ozono troposferico è costituito dai composti organici volatili (COV).  I valori stimati dell'ammontare medio dei costi esterni causati a questo proposito dai COV emessi da un’autovettura a benzina per litro di carburante utilizzato, ottenuti utilizzando lo stesso procedimento già esposto per le altre sostanze considerate, sono riportati nella tabella 7.

 

Tabella 7 - Ammontare del costo esterno medio per litro di carburante utilizzato generato dalle emissioni di COV di un’autovettura

Autovettura

Lire

Non catalizzata (1988)

9

Catalizzata (1996)

1

Catalizzata (2000)

0

 

2.2 Effetti locali delle emissioni gassose

Come già detto in precedenza, la stima dei costi esterni generati in Italia dagli effetti locali delle emissioni gassose degli autoveicoli a benzina effettuata in questa sede si basa su una generalizzazione all'intero territorio nazionale degli analoghi dati contenuti nel rapporto finale di ExternE-Transport.  Le stime puntuali dei costi esterni generati dalle emissioni di gas degli autoveicoli relative all'intero territorio nazionale, che sarebbero necessarie per una valutazione più raffinata, non esistono e non è realisticamente pensabile di poterle ottenere per ragioni di costo, quindi la generalizzazione adottata rappresenta anche l'unica soluzione possibile.

Un’operazione dello stesso tipo è già stata fatta dall’associazione Amici della Terra[22], utilizzando una metodologia piuttosto raffinata che ha comportato la ripartizione per ambiti di modalità delle emissioni dei vari cicli di guida e i valori dei relativi costi esterni stimati da ExternE.  Purtroppo non è risultato possibile utilizzare in questa sede il lavoro già svolto dagli Amici della Terra, in quanto i risultati da essi pubblicati non distinguono tra autovetture catalizzate ed autovetture non catalizzate.

I dati di ExternE che sono stati assunti come base per la generalizzazione effettuata sono quelli relativi al caso studio tedesco.  La ragione di questa scelta è che tali dati presentano un dettaglio sufficiente rispetto agli scopi che qui interessano sia relativamente ai tipi di autovetture considerate (catalizzate e non catalizzate) sia rispetto ai percorsi studiati (un percorso urbano e uno extraurbano).

La metodologia adottata allo scopo è stata semplicemente quella di considerare la ripartizione delle percorrenze tra gli ambiti urbano ed extraurbano nel nostro paese[23] e costruire il valore di stima del costo esterno specifico medio per l'Italia come media pesata dei valori di costo per i percorsi urbano ed extraurbano tedeschi.

Procedendo in questo modo si è indirettamente formulata l'ipotesi che la proporzione tra percorrenza media nei due ambiti urbano ed extraurbano sia uguale sia per le autovetture alimentate con benzina super sia per le autovetture alimentate con benzina senza piombo.  Questo non è probabilmente esatto, dal momento che nel 1998 circa il 12 per cento delle vendite di benzina senza piombo è avvenuto su distributori situati lungo la rete autostradale, mentre lo stesso dato per la benzina super è risultato pari al 6,5 per cento.  Questo dato tenderebbe ad avvalorare l’ipotesi che per le autovetture alimentate a benzina super il rapporto tra percorrenza media in ambito urbano e percorrenza media in ambito extraurbano sia più alto rispetto alle autovetture alimentate con benzina senza piombo.  Nel corso delle simulazioni effettuate si è peraltro visto che i risultati dell'analisi non variano in maniera significativa al variare di questo rapporto entro limiti realistici, e si è quindi deciso di considerare valida l'ipotesi fatta.

La tabella 8 riporta i risultati delle stime di costo esterno marginale generato dagli effetti locali delle emissioni gassose dei vari tipi di autovetture a benzina per veicolo km, ottenute come descritto[24].

 

Tabella 8 - Costo esterno medio generato localmente per veicolo km

Tipo

Lire

Non catalizzata (1988)

92,51

Catalizzata (1996)

22,64

Catalizzata (2000)

17,60

Fonte: ACI – Fondazione Caracciolo (2000)

 

Gli effetti locali delle emissioni gassose delle autovetture diesel sono stimati, pur con tutti i limiti di cui si diceva, in Amici della Terra (1999). Queste stime variano dalle 73 lire per passeggero per chilometro in ambito extraurbano alle 894 lire per passeggero per chilometro nelle grandi città.

2.3 I costi esterni della produzione di benzina

Ai costi esterni generati dalle emissioni gassose degli autoveicoli bisogna poi aggiungere i costi esterni generati in fase di produzione del carburante.  Rispetto agli impatti fin qui esaminati, vi sono assai meno studi concernenti i costi esterni complessivi generati durante le fasi di estrazione e trasporto del greggio e, successivamente, alla sua raffinazione e distribuzione.  Tali studi, inoltre, non sono stati condotti secondo la metodologia ExternE: essi sono dunque relativamente poco confrontabili con le altre stime presentate.

Secondo la rassegna contenuta in Bickel e altri (1997), il costo esterno medio dovuto alla produzione di benzina è pari a 5,5 Euro/1000 (10,7 lire) per veicolo-chilometro.  Questo dato, moltiplicato per il consumo specifico medio fornito dall’ACEA di 14,08 km/litro fornisce una stima del costo esterno generato dalla produzione di un litro di benzina pari a 150 lire.

Di contro, almeno a livello di raffinazione l’internalizzazione dei costi esterni generati è al momento quasi assente.  Infatti le raffinerie vanno soggette ad un’imposizione fiscale sulle emissioni di anidride solforosa SO2 pari a 103.000 lire per tonnellata e ad un’imposizione fiscale sulle emissioni di ossidi di azoto NOx pari a 203.000 lire per tonnellata.  Secondo i dati diffusi dalla Unione Petrolifera[25] le emissioni delle raffinerie italiane nel 1999 sono state di 153 tonnellate di SO2 e 0,35 tonnellate di NOx per ogni 1.000 tonnellate di lavorato, alle quali corrisponde quindi un’imposizione sulle emissioni in atmosfera di pochi centesimi per litro di benzina prodotto, quindi di ammontare trascurabile rispetto al valore di costo esterno fornito da Bickel e altri (1997).

2.4 Dopo il bando della super

Dal 2002, la direttiva dell’Unione Europea 98/70/CE che prevede la messa al bando della benzina super obbligherà tutte le auto non catalizzate ancora circolanti ad alimentarsi con benzina senza piombo.  Questo ripropone una questione ambientale nata con la comparsa stessa della benzina senza piombo sul mercato, che è quella relativa al suo uso da parte di autovetture non dotate di marmitta catalitica.  Nel 1988, il settimanale "Quattroruote" denunciava per la prima volta che, rispetto alla benzina additivata con piombo, la benzina senza piombo conteneva una maggiore percentuale di benzene ed altri idrocarburi aromatici, composti cancerogeni.  Di conseguenza, tenendo presente che esiste uno stretto rapporto tra la percentuale di benzene contenuta nelle benzine e la quantità di benzene emesso dallo scarico delle autovetture non catalizzate[26], l'utilizzo di benzina senza piombo da parte di autovetture non dotate di marmitta catalitica poteva essere più dannoso per l'ambiente rispetto all'utilizzo di benzina super.

Da qualche anno però la presenza di questa sostanza è praticamente uguale in entrambi i combustibili.

Di conseguenza, oggi l’emissione di benzene da parte di una vettura non catalizzata non dipende dal tipo di benzina utilizzato.  Per tutti gli altri inquinanti, le autovetture non catalizzate che utilizzano benzina senza piombo presentano lo stesso livello di emissioni gassose che presenterebbero se utilizzassero la benzina super, a meno, chiaramente, delle emissioni di piombo in questo caso assenti.

2.5 I costi esterni generati dalla produzione e l’utilizzo della benzina: riepilogo

Riepilogando, la tabella 9 mostra le componenti del costo esterno generato dalla produzione e dall’utilizzo di un litro di benzina ed il loro totale, pari a 1.901 £/L per un autovettura non catalizzata prodotta negli anni ’80, 870 £/L per un’autovettura catalizzata rispondente allo standard di emissione comunitario Euro I e a 777 £/L per un’autovettura catalizzata rispondente a quello Euro II.  Il dato riportato per il costo esterno dovuto alla emissione di CO2 è quello relativo al limite superiore dell’intervallo stimato dall’IPCC.

 

Tabella 9 - Costo esterno generato dalla produzione e l’utilizzo di 1 litro di benzina

Tipo

produzione

effetti locali

CO2

NOx

COV

N2O

totale

Non catalizzata (1988)

150

1.303

336

66

9

37

1.901

Catalizzata (1996)

150

319

331

11

1

58

870

Catalizzata (2000)

150

248

314

7

0

58

777

 

Per avere un termine di paragone, osserviamo che uno dei più completi studi esistenti sull’argomento, condotto da una task force dell’European Conference of Ministers of Transport nel 1998, fornisce un valore dei costi esterni generati dall’utilizzo di un’autovettura a benzina per il contributo dato all’inquinamento atmosferico e ai cambiamenti climatici (la produzione di benzina non viene presa in considerazione) di circa 45 lire per veicolo chilometro, che utilizzando il valore sui consumi specifici delle autovetture di 14,08 chilometri per litro fornisce un costo esterno per litro di benzina utilizzato di circa 627 lire, valore quasi esattamente coincidente con quello ottenuto da questo studio per autovetture Euro II al netto dei costi esterni della produzione di carburante.  La coincidenza di questi valori non deve essere interpretata necessariamente come una conferma della loro esattezza, in quanto essi sono stati ottenuti prendendo in considerazione gli impatti di inquinanti non del tutto identici.

In un altro lavoro, i costi esterni medi generati dalle emissioni gassose conseguenti all’utilizzo di un litro di benzina verde in Inghilterra sono stati stimati da Ian Parry (senza peraltro fornire chiarimenti su come queste stime siano state ottenute)[27] in 250 lire al litro per gli effetti locali e 120 lire al litro per gli effetti globali.

Una ricerca condotta da INFRAS/IWW nel 1994 ha stimato il costo esterno medio generato da un’autovettura per litro di carburante utilizzato in 194 lire per i cambiamenti climatici e altre 194 lire per l’inquinamento atmosferico.

I valori relativi agli effetti locali delle emissioni gassose e alla congestione per la Francia sono stati stimati da Furlan (2000) , che con una metodologia molto vicina a quella dei sentieri di impatto illustrata in precedenza ha quantificato il costo esterno generato dagli effetti locali delle emissioni gassose degli autoveicoli per litro di carburante utilizzato in 634 lire per le aree urbane e 41 lire per le aree extraurbane.

Small e Kazimi (1995) hanno valutato i costi esterni generati dagli effetti locali delle emissioni gassose degli autoveicoli nell’area di Los Angeles in 375 lire al litro, valore comprensibilmente maggiore di quello ottenuto in questa sede in quanto l’area di Los Angeles è notoriamente molto inquinata.

I pochi elementi raccolti sulle autovetture diesel consentono infine di affermare con una certa sicurezza che i costi esterni da queste generati (circa 340 lire al litro per le emissioni di CO2, circa 20 per quelle di NOX e circa 590, nell’ipotesi conservativa di sola circolazione extraurbana, per gli effetti locali, per un totale di circa 950 lire al litro) sono superiori all’accisa sul gasolio (739 lire al litro), confermando quindi quanto contenuto a questo proposito nel Libro Bianco sui Trasporti pubblicato dalla Commissione Europea nel 2001.  Il progressivo miglioramento degli standard di emissione dei motori di questo tipo lascia prevedere il rapido decremento di questi costi esterni per le nuove autovetture che saranno immatricolate nei prossimi anni, ma, visti gli attuali ritmi di ricambio del parco circolante italiano, ancora per molti anni saranno presumibilmente in circolazione sulle nostre strade veicoli diesel ad alto impatto ambientale.

 

3. Quantificazione dell’imposizione fiscale efficiente sulla benzina. Conclusioni.

Riprendendo la equazione (7), che ricordiamo è

td = tc+ (1-e tc) t

si tratta ora di andare a sostituirvi le stime dei vari parametri.  Hausman (1985) stima il valore di e per maschi adulti in 0,08.  È possibile assumere questo valore come una stima prudenziale di e, in quanto presumibilmente per gli altri gruppi di lavoratori questo parametro assumerà valori più alti.  Utilizzare questo valore per la stima di td significa quindi stimare il limite superiore dell’imposizione fiscale efficiente sulla benzina.

Considerando per gli altri beni una tc coincidente con l’IVA (pari, per la grande maggioranza dei beni, al 20 per cento), e tenendo conto che t per una autovettura catalizzata rispondente allo standard Euro II sarà pari al rapporto tra il costo marginale sociale (777 lire al litro) e il costo di produzione (748,34 lire al litro) cioè 1,038, avremo che

 

td = 0,20 + (1 – 0,08 x 0,20 ) x 1,038 = 1,221

 

da cui si ottiene una imposizione totale efficiente per litro pari a 914 lire.  È interessante notare che la parte pigouviana di questa imposizione, quella cioè eccedente l’imposizione fiscale del 20 per cento esistente sulla maggior parte dei beni, in questo caso sarà pari a 637 lire al litro, minore cioè del costo marginale sociale dell’inquinamento, stimato, come detto, in 777 lire per litro di benzina utilizzato.  Considerando invece un valore di e di 0,15, probabilmente più aderente al valore medio della elasticità non compensata dell’offerta di lavoro rispetto al salario, si otterrà invece un valore di td di 1,206, corrispondente ad una imposizione totale efficiente per litro di 903 lire con una parte pigouviana pari a 628 lire al litro

In base alle stime presentate, l’ammontare complessivo della attuale imposizione fiscale sulla benzina, uguale per la benzina senza piombo a 1.007,49 lire al litro di accisa e 351,17 lire di IVA, per complessive 1.358,66 lire, risulta perciò essere superiore sia all’ammontare dei costi esterni internalizzabili con questo strumento sia al suo ammontare efficiente.

Una struttura impositiva più efficiente potrebbe essere costituita da una imposizione fiscale sulla benzina di circa 900 lire al litro e da un sistema di road pricing lungo i percorsi soggetti a periodi di congestione.  Per capire se una struttura impositiva di questo tipo presenterebbe problemi dal punto di vista del gettito fiscale sono necessari una valutazione dei costi della congestione e della elasticità della domanda di accesso delle autovetture nei luoghi e nei momenti congestionati rispetto al prezzo per livelli di prezzo molto più elevati rispetto a quelli attuali.

Secondo una stima dell’associazione Amici della Terra[28] il costo esterno medio generato a causa della congestione durante la vita di un’autovettura (14,7 anni) sarebbe pari a 7,5 milioni di lire[29].  Questo dato, moltiplicato per una percorrenza media di 11.471 km/anno e un consumo specifico medio di 14,08 km/litro, fornisce un valore medio del costo esterno generato dalla congestione, puramente indicativo, pari a 626 lire per litro di carburante utilizzato.  Pur mancando completamente, a nostra conoscenza, le stime della elasticità della domanda di accesso motorizzato lungo i percorsi congestionati per livelli di prezzo molto più elevati rispetto agli attuali (per i quali la elasticità della domanda rispetto al prezzo è bassa. Infatti, i valori della elasticità della domanda di benzina rispetto al prezzo riportato in Pindyck (1979) variano da –0,11 dopo un anno dalla variazione di prezzo a –1,17 dopo 20 anni), i dati degli Amici della Terra sopra riportati potrebbero indurre a ritenere che, salvo sorprese dovute ad un forte aumento del valore di questa elasticità ad alti livelli di prezzo, il gettito totale della nuova struttura impositiva non dovrebbe discostarsi di molto da quello dell’attuale accisa sulla benzina. 


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[1] Professore a Contratto di Economia Politica presso l’Università di Modena e Reggio Emilia.  Ringrazio Alberto Cottica, Anastassia Naboko, Giuseppe Marotta, Francesco Silvestri e due anonimi referees per i loro preziosi commenti.  La responsabilità per eventuali errori ed inesattezze rimasti è ovviamente solo mia.

[2] Come di vede dalla tabella sottostante, al netto delle imposte la benzina costerebbe circa 750 lire al litro, il gasolio per autotrazione 655 ed il GPL 620.

Struttura del prezzo medio nazionale dei prodotti petroliferi espressi in £/l al 23/04/2001

PRODOTTO

PREZZO AL CONSUMO

ACCISA

I.V.A.

TOTALE IMPOSTE

PREZZO AL NETTO IMPOSTE

Benzina super

2.194

1.077,96

365,67

1.443,63

750,368

Benzina s. piombo

2.107

1.007,49

351,17

1.358,66

748,344

Gasolio auto

1.674

739,064

279

1.018,06

655,936

GPL auto

1.081

280,351

180,17

460,521

620,479

Fonte: Direzione Generale per l’Armonizzazione e la Tutela del Mercato, Cabina Monitoraggio Prodotti Petroliferi

Sarebbe peraltro sbagliato credere che il livello di imposizione fiscale in essere sulla benzina nel nostro paese costituisca un’eccezione tra i paesi industrializzati.  La tabella seguente mostra il prezzo alla pompa della benzina senza piombo e l’imposizione fiscale su questo prodotto nei 15 paesi membri dell’Unione Europea nel giugno 2000.  Come si vede, in 6 di questi quindici paesi l’imposizione fiscale sulla benzina senza piombo è, in valore assoluto, maggiore rispetto all’Italia e in altri 2 (la Germania ed il Belgio) è di pochissimo minore rispetto al nostro paese.  Il paese dove il prezzo alla pompa della benzina risulta maggiore è l’Inghilterra dove un litro costa 2.575 lire.  La stessa Inghilterra risulta anche essere il paese nel quale l’accisa sulla benzina è più elevata (circa 1.440 lire al litro, alle quali bisogna poi aggiungere altre 440 lire circa di I.V.A.).  Il paese nel quale l’imposizione fiscale sulla benzina risulta essere minore è invece la Grecia (829 lire al litro complessive).

Prezzo di vendita della benzina senza piombo nei paesi dell’Unione Europea nel giugno 2000

 

B

DK

D

EL

E

F

IRL

I

L

NL

A

P

FIN

S

UK

prezzo di vendita

2.149

2.265

2.033

1.626

1.626

2.188

1.723

2.149

1.723

2.343

1.878

1.723

2.188

2.304

2.575

di cui tasse

1.354

1.450

1.362

829

943

1.510

1.034

1.376

913

1.499

1.108

913

1.488

1.498

1.880

% sul prezzo di vendita

0,63

0,64

0,67

0,51

0,58

0,69

0,60

0,64

0,53

0,64

0,59

0,53

0,68

0,65

0,73

Fonte: Commissione Europea

[3] High Level Group on Transport Infrastructure Charging, Final Report, 1999.

[4] Krugman, Economisti per caso, pag. 149.

[5] Pigou, A Study in Public Finance, 1947

[6] Ma la difficoltà pratica di determinare le esatte aliquote fiscali sarebbero straordinariamente grandi. I dati necessari per una decisione scientifica di questo tipo mancano quasi interamente” (Pigou, Socialism vs Capitalism, 1947, pp. 42-43)

[7]European Commission, DG XII, Science, Research and Development, 1997.

[8] È da notare che queste stime riguardano i costi marginali esterni dei trasporti, e risultano quindi logicamente più alte di quelle dei costi medi esterni contenute nella maggior parte dei lavori sull’argomento.

[9] Dove per mortalità cronica si intende quella che non si verifica immediatamente dopo l'esposizione, ma che presenta un periodo di latenza

[10] Vedi Ponti, 2001.

[11]…A Singapore, una serie di caselli per il pagamento del pedaggio circonda il centro della città: per entrare in città ogni automobile deve pagare un pedaggio che varia a seconda della strada utilizzata, dell’ora del giorno e del livello di inquinamento quotidiano; i prezzi vengono variati in modo da garantire l’offerta ottimale. Inoltre Singapore calcola il numero massimo di automobili che possono essere ammesse fuori dal centro cittadino senza generare problemi e mette all’asta le targhe per le nuove automobili ogni mese. Diversi tipi di targa consentono utilizzi differenti dell’automobile: la targa che permette l’uso indiscriminato dell’automobile costa molto di più di quella che ne permette l’uso solo nei fine settimana. I prezzi variano in funzione della domanda e dell’offerta…” (Thurow, 1995).

[12] Tra questi ultimi, probabili difficoltà di attuazione da un punto di vista politico legate alla introduzione di una nuova imposta (il road pricing) destinata, come vedremo, a sostituire solo parzialmente un’imposta esistente (l’accisa sulla benzina).

[13]Parlamento Europeo, 1999.

[14]Amici della Terra, 1999.

[15]Il definire quelli riportati come fattori di emissione medi rappresenta chiaramente una semplificazione della realtà, in quanto la dipendenza dei fattori di emissione da un grande numero di variabili (quali ad esempio lo stile di guida del conducente e lo stato di manutenzione del mezzo) rende la distribuzione della popolazione e quindi la media difficilmente determinabili.  Test sugli effetti degli stili di guida degli autobus, effettuati nel quadro del progetto Qualità di guida, condotto da un gruppo di lavoro composto dal Dipartimento di Meccanica e Tecnologie dell’Università di Firenze e dalle Aziende di trasporto di Firenze, Modena e Napoli con il coordinamento tecnico della Federazione Italiana Risparmio Energetico, hanno ad esempio dimostrato che tra uno stile di guida estremamente “cattivo” e uno molto “buono” la differenza nel consumo di carburante, e di conseguenza nelle emissioni, è dell’ordine del 30 per cento.  Anche senza prendere in considerazione casi estremi si è poi visto che differenze del 10/15 per cento causate dai diversi stili di guida sono comuni. 

Per quanto riguarda lo stato di manutenzione del veicolo, un raffronto tra le emissioni rilevate a Modena dai controlli obbligatori sui gas di scarico degli autoveicoli nel 1992 (primo anno di applicazione del provvedimento) e nel 1993 (effettuati quindi su veicoli che nel corso dell’anno precedente avevano subito un controllo delle emissioni ed un intervento di manutenzione nel caso in cui queste non fossero rientrate nei limiti previsti) rivela che le emissioni di CO e quelle di HC (gli unici due parametri rilevati) sono diminuite rispettivamente del 21 e del 16 per cento (Odorici e Biagi, 1995).

[16] La Commissione Europea ha stabilito con una serie di direttive che le autovetture a benzina omologate nei paesi dell’Unione debbano rispettare i seguenti standard di emissione:

Autovetture (grammi/km)

Standard

a partire da (1):

CO

HC

NOx

Euro I

01/07/92

4,05

0,66

0,49

Euro II

01/01/96

3,28

0,34

0,25

Euro III

01/01/00

2,3

0,2

0,15

Euro IV

01/01/05

1

0,1

0,08

(1) queste date si riferiscono a nuovi tipi di veicolo; le stesse per nuovi veicoli sono 1 anno dopo.

[17]PM2.5 = particolato di dimensioni minori di 2,5 micron; NOx = ossidi di azoto; HC = idrocarburi; SO2= anidride solforosa; CO2 = anidride carbonica; COV = composti organici volatili.

[18] OECD, 1997.

[19] ANPA (2000)

[20] Stima dell’autore su dati ANPA (2000).

[21] Vedi nota precedente.

[22]Amici della Terra, 1999.

[23]Mattucci ed al., 1998.

[24]ACI-Fondazione Caracciolo, 2000.

[25]Unione Petrolifera 2001.

[26]Di Lorenzo, 1999.

[27] Parry, 2001.

[28] Amici della Terra, 2000.

[29] Questa stima è stata effettuata in base ad una valutazione monetaria, basata su dati della Banca d’Italia relativi al valore aggiunto al costo dei fattori per unità di lavoro e sui consumi delle famiglie (per il valore del tempo perso dai passeggeri non occupati), del tempo perduto dai residenti delle città con oltre 20.000 abitanti a causa della congestione del traffico urbano. Non comprende invece il valore del tempo perduto in congestione extraurbana (autostrade, ecc.) ed è quindi evidentemente un’approssimazione per difetto (Amici della Terra, 2000). Lo scostamento rispetto al dato reale indotto da questa approssimazione potrebbe essere notevole, visto che il nostro paese registra un’elevata concentrazione dei traffici su alcune direttrici stradali critiche: il 60 per cento circa dei flussi extraurbani si concentra su appena il 2 per cento della rete stradale ed autostradale (Ministero dei Trasporti e della Navigazione, 2000).

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